Gruppo psicologico sul sogno
“Sognate! I sogni plasmano il mondo. I sogni ricreano il mondo, ogni notte” (Neil Gaiman).
Sin dall’antichità il sogno ha visitato l’uomo come una presenza misteriosa che – col suo enigmatico linguaggio d’immagini – suggerisce, allude, mette in guardia e prepara alla vita. Proponiamo dieci incontri per esplorare i nostri sogni con gli strumenti della psicologia analitica, attraverso il gruppo, con l’obiettivo di prender contatto con il profondo e il potenziale che è in noi.
DOVE: Studio Epimeleia, corso Francia 33, Torino.
CONDUTTORI:
Dott.ssa Sara Quaranta – psicoterapeuta, sandplay therapist.
Dott. Martino Lioy – psicoterapeuta, psicodrammatista.
QUANDO: Da gennaio per 10 incontri, ogni martedì dalle 19 alle 20.30
Il costo è di 30 euro a incontro e la partecipazione è riservata ad un massimo di 8 persone.
Per informazioni e iscrizioni: 3459703266 o martino.lioy@gmail.com
PRESENTAZIONE DEL LABORATORIO:
Per un verso o per l’altro, è evidente a tutti: il periodo non è dei migliori. Da un anno e mezzo ci confrontiamo, collettivamente e come individui, con un’ombra che mette a dura prova le nostre giornate, dai momenti di svago ai tempi del lavoro, dall’intimità privata alla grande realtà sociale, dalle relazioni con gli altri a quella con noi stessi. Stiamo faticosamente attraversando quel che qualcuno ha chiamato “trauma collettivo”, un evento di portata storica che riverbera però nella quotidianità di ciascuno, alterandone i ritmi, modificandone gli assetti e, spesso, incrinandone il senso. È sulla base di questo sfondo – che certo non richiede molte altre presentazioni – che abbiamo deciso, come psicologi, di immaginare un gruppo. Che si tratti di famiglia, di amici o di comunità, da sempre il gruppo è il luogo in cui ci si raduna per riflettere e per confrontarsi, per affrontare la vita e per raccontarla, per prendere decisioni e per prendersi cura gli uni degli altri. Nella nostra esperienza, il gruppo può essere un contenitore sicuro in cui depositare esperienze, domande o fatiche ed è allo stesso tempo un incubatore efficace di nuovi pensieri, soluzioni o intuizioni. Come un uovo garantisce il giusto tempo e calore alla vita che ne emergerà, così il gruppo veglia – silenzioso e paziente – sulla nascita di nuove possibilità.
Oltre che sul lavoro attraverso il gruppo, la nostra scelta cade su una seconda via: quella del lavoro attraverso il sogno. Si racconta che negli antichi templi di Asclepio, il dio greco della medicina, venisse prescritta una cura singolare a chi vi si recava in cerca di guarigione. Il paziente doveva dormire una notte nel tempio, dove avrebbe avuto un sogno in cui avrebbe trovato la soluzione dei suoi mali. Il dio, insomma, comunicava in sogno con chi lo consultava e – attraverso le immagini oniriche – forniva aiuto al sofferente. Circa due millenni dopo, Jung scrive che chi guarda all’esterno sogna, mentre chi guarda all’interno apre gli occhi. In fondo è un’idea estremamente semplice (almeno in teoria…): volgiamo in dentro lo sguardo, nel profondo, nell’ignoto, e ci domandiamo perché certe immagini, perché proprio adesso, perché proprio a noi. La cura è tutta qui: prima ancora di essere una risposta, il sogno è una domanda. Con ciò ci fa un grande servizio, obbligandoci a stare lì, a riconoscere che non ci capiamo nulla, a procedere a tentoni fra le figure e i luoghi che lo animano. Non è un caso se prima abbiamo parlato di un uovo: come tutto ciò che è emergente e spontaneo, il sogno è anticipazione e preparazione di ciò che ancora non è, è densissimo (di significati) e ricchissimo (di vita), è pura potenzialità embrionale, è caotico e trasformatore. All’inizio, di fronte a tutto questo il verbo è uno solo: sentire. Si parte dal caos e dall’incomprensibilità, si ascolta e si prova, poi si tracciano bozze, si fanno tentativi, si ipotizzano collegamenti – e la domanda resta sempre invariata: perché questo sogno, oggi, qui? È quanto ci prefiggiamo di fare, assieme, nel percorso che stiamo proponendo. Crediamo nella possibilità di continuare a curarci della nostra interiorità anche (e soprattutto) a fronte di sconvolgimenti esteriori; crediamo che questo movimento possa essere salutare non solo per il singolo che lo compie, ma anche per la collettività a cui quotidianamente farà ritorno; e crediamo che l’ascolto sincero del profondo e dell’immaginale sia una strada insolita per i nostri tempi, ma abbiamo fiducia che possa essere una via feconda e dalle conseguenze ben più pratiche e concrete di quanto non si pensi.
Se è vero che, nella nostra esperienza, lavorare sul sogno è terapeutico, troviamo comunque doveroso spendere qualche parola sulla nostra scelta. E allora: perché i sogni? Le ragioni sono molte, val la pena di sottolinearne tre.
- Il sogno è espressione dell’“altra parte”. Come tale, è portatore di voci e istanze che solitamente non riusciamo a sentire e che, come il piatto di una bilancia, fanno da controcanto a ciò che è invece visibile e conscio. Dedicarsi ai sogni è quindi una via immediata per sbirciare sotto al tappeto e nell’armadio, là dove solitamente non siamo e dove invece abitano quelle parti di noi che hanno urgenza di parlarci o bisogno di essere ascoltate, viste, riconosciute.
- Se è vero che il “messaggio” del sogno è per il sognatore, è pure vero che arriva dal luogo e dal tempo di tutti. Con il suo linguaggio sensoriale, emotivo, fantastico e simbolico, il sogno ci colpisce con immagini che – anche nella loro incomprensibilità – ci smuovono e ci restano impresse. Gli elementi onirici stimolano l’interiorità di ognuno, mettendo in moto processi di curiosità, di dubbio e d’immaginazione che spingono alla riflessione psicologica, all’emersione di connessioni, alla ricerca di significati. Come una porta che si apre sulla notte e sul profondo, i sogni offrono un varco verso dimensioni che parlano di noi e che pure vanno al di là del singolo individuo, mettendolo in connessione con le grandi dimensioni collettive dell’esistenza, contenitori e fondamenta di ciò che siamo.
- I sogni, con la loro natura paradossale, simultaneamente sono altro da noi e sono noi. Pur intuendo che ci riguardano, ce ne ritroviamo distanti, spettatori coinvolti e pure esterni. Ciò ha un grande vantaggio pratico: garantire sistematicamente una distanza fra sé e ciò che si osserva. Si tratta di una distanza dalle molte valenze. È distanza di sicurezza, che permette di avvicinare contenuti anche molto dolorosi con la giusta mediazione. È distanza di riflessione, uno spazio psicologico entro cui si ha il tempo di esplorare, approfondire e “digerire” ciò che c’è. È distanza di dubbio, laddove ci aiuta a riconoscere che le immagini sono sfuggenti e cangianti, che un significato non ne esclude un altro, che stati d’animo e pensieri differenti possono convivere nel medesimo luogo. In una parola, è una distanza analitica, che ci aiuta a vedere le cose in trasparenza e nella loro complessità. Oggi più che mai, a fronte dei fatti drammaticamente reali con cui siamo chiamati a confrontarci, abbiamo bisogno di recuperare uno sguardo che sappia gestirne la portata, diluendo la concretezza e la monoliticità di ciò che viviamo in parti più piccole e in prospettive molteplici – dapprima in pensieri, sensazioni ed emozioni, piano piano in parole nuove che via via potranno farsi nuove immagini, nuovi racconti, nuova vita.
[…] Per un approfondimento rispetto al lavoro psicologico sul sogno e al successivo ciclo di incontri: https://www.saraquaranta.it/2021/09/13/fra-sogni-e-realta/ […]